Se nella riflessione pedagogica è acquisito che le attività di accoglienza costituiscono uno dei momenti fondamentali dell’esperienza educativa, nella pratica didattica c’è la necessità di evitare - come spesso accade – che esse si configurino come parti di una categoria più moralistica che pedagogica. Per fare ciò le azioni di accoglienza devono innervarsi di una progettualità che agendo all’interno dell’azione formativa, consentano di individuare dispositivi didattici e strumenti operativi che aiutino gli adulti a soddisfare il loro diritto a svilupparsi a partire dalle loro storie, dalle loro esperienze cognitive ed emotive. Nasce da qui il senso di un’azione lunga di “accoglienza”, che si possa sviluppare nel tempo, anche trasformandosi, ma necessariamente attenta a cogliere e soddisfare le molteplici specificità a partire da una costante informazione. Senza un flusso costante di informazioni, infatti, è difficile parlare poi di relazione e di conseguenza operare uno sforzo di osservazione e di ascolto a più livelli. Sul versante dell’orientamento si tratta di azioni che possono aiutare nell’immediato a sviluppare una relazione con gli adulti, e nel tempo a far emergere gli snodi e le criticità delle loro biografie e a sviluppare strategie personali per superare le difficoltà. D’altronde, le azioni di orientamento e accompagnamento si inscrivono nel contesto di “accoglienza” ma vanno oltre l’emergenza, nel senso che si propongono di attivare nuovi saperi e nuove esperienze conoscitive.
Risulta evidente che si tratta di un percorso/processo proprio perché non può essere circoscritto alla fase di avvio dell’azione educativa, necessita di uno spazio che non si esaurisce nella prima settimana o nel primo mese di attività. C’è un prima e un dopo di cui si deve tener conto. In altre parole l’accoglienza comincia prima dell’avvio del percorso formativo e continua anche dopo l’esaurimento delle tradizionali attività di approccio con la nuova realtà. Ecco il perché di un’accoglienza declinata, aperta alla continuità che da una parte si pone il problema di aiutare gli adulti a sentirsi protagonisti, dall’altra impegna i formatori al rispetto delle biografie personali, alla valorizzazione delle singole identità, alla presa in considerazione dei bagagli di esperienza e di conoscenza di ciascuno di loro.
Per i docenti, si tratta di farsi carico di tali aspetti poiché conoscere e fruire di tutte le risorse presenti, aiuta i lavoratori (adulti e giovani adulti) a comprendere quella dinamicità che c’è nel rapporto tra sapere e cambiamento sociale e li motiva ad investire tempo ed energie nella misura in cui ritengono che ciò potrà aiutarli ad assolvere dei compiti o ad affrontare i problemi con cui si devono confrontare nelle situazioni della loro vita reale a incominciare da quella lavorativa.
Pensare ad un percorso specifico di accoglienza si configura, dunque, come azione composita di fattori, la cui finalizzazione impegna tutti. E’, infatti, una costruzione integrata tra conoscenze di tipo cognitivo e non cognitivo degli adulti, tra modalità di apprendere degli adulti e di insegnare dei docenti. Sul versante della pratica didattica è importante sottolineare come le azioni di accoglienza devono configurarsi:
- come processo, nel senso che devono promuovere la consapevolezza di costruire azioni educative a più livelli e da sviluppare nel tempo;
- come possibilità di recuperare tutte le situazioni, anche quelle più difficili;
- come strumento, cioè attività capaci di cogliere e dialogare con il potenziale conoscitivo di tutti.
Le azioni di accoglienza dovrebbero collocarsi in questa prospettiva, cercando di portare a sistema il lavoro complessivo attraverso due punti di sviluppo
- guardare all’accoglienza come ad un continuum in cui l’adulto riconosce di volta in volta gli apprendimenti come parti di quel sapere che caratterizzano la cultura comune, o della comunità, o del contesto lavorativo, della quale l’azione educativa è solo un’espressione. Non solo, in un percorso di aggiornamento di competenze professionali, risulta importante affrontare attività che evitino sovrapposizioni di compiti, di ruoli, di funzioni, di risorse, poiché si tratta di dare valore e realizzare un progetto condiviso, in quanto non ci può essere una comunità escludente, così come non si possono sviluppare attenzioni sul versante sociale e “trascurare” i bisogni dell’adulto come persona o come lavoratore.
- proporre sempre azioni educative che declinino le diverse dimensioni dell’accoglienza: accogliere, orientare, accompagnare.
La dimensione di trasversalità riconosciuta all’accoglienza sul versante formativo raccoglie molte di queste sollecitazioni e disvela la complessità, che è anche indice in molte esperienze di un’attenzione specifica e particolare al soggetto, ai suoi pluralismi identitari (sociali, generazionali, linguistici, cognitivi, culturali etc.) e che il suo “formarsi” dipende da tutti questi fattori, diversi tra di loro e tutti radicati al più vasto processo formativo.
Molte sono le azioni per “orientare” e “accompagnare” gli adulti nella costruzione di reti comunicative e relazionali significative, ma perché ciò si realizzi, perché si possano comprendere e annodare le singole filosofie individuali c’è bisogno di entrare in dialogo con le “adultità”, interpellare direttamente chi vive tali esperienze e conoscere il ruolo che svolge o può svolgere la dimensione dell’apprendimento.